mercoledì 8 marzo 2017

APPROFONDIMENTI: "High Fantasy" contro "Low Fantasy", l'eterna lotta fra assoluti e grigio.

Sulla destra: c'è veramente bisogno di dirlo? ; sulla sinistra: Petyr "Faccio solo quello che mi conviene" Baelish

Avevo 18 anni quando ho iniziato a lavorare su questa storia e, sin dall'inizio, volevo che fosse “diversa”.


Diversa da tutto quello che avevo letto, guardato o giocato fino ad allora.

Parlo del fantasy “classico”, quello che, anni dopo, ho scoperto essere definito “High Fantasy” e che, all'epoca, pensavo fosse l'unico sottogenere esistente (ero un ignorantello, lo so...).

Amavo le immagini di quei mondi irreali. Erano così lontane dalla mia vita di tutti i giorni da colpire la mia fantasia più di qualsiasi altro genere avessi mai letto o guardato.
Amavo la loro capacità di farmi chiudere gli occhi e catapultarmi, in un attimo, in mondi da favola, più vicini alla mitologia che alla storia e abitati da creature mai viste. Orchi, fate, elfi e mostri di ogni genere. Niente che si potesse trovare da qualche altra parte.

Amavo ancor di più la potenza di queste storie; l’epicità figlia del netto contrasto fra bene e male, in cui temi e personaggi erano così polarizzati da trascendere la dimensione umana, diventando archetipi di concetti assoluti come "eroe" e "malvagio", "bene" e "male". La loro era una "purezza" impossibile, in cui le sfumature di dubbio o incertezza, non erano neanche concepite.

Io amavo quelle storie ma mi mancava qualcosa.

Le sentivo lontane. Il loro essere così “fantastiche” e assolute me le rendeva poco digeribili, troppo inverosimili per me che, come ormai avrete capito, ho sempre avuto un livello di “sospensione dell’incredulità” piuttosto basso.

Volevo qualcosa che unisse la forza immaginifica di quelle ambientazioni fantastiche al realismo della scienza, una sintesi in cui anche concetti più irreali per definizione come la magia o un drago potessero essere ricondotti a una parvenza di veridicità. Imbrigliati in regole che li rendessero più verosimili e realistici.

Volevo leggere di un mondo in cui i personaggi si comportassero e reagissero esattamente come farebbe un vostro familiare o un collega di lavoro, personaggi che avrebbero avuto la propria sopravvivenza e il proprio tornaconto sempre come primo pensiero, rendendo così i loro rari scatti di altruismo estremamente più preziosi di quelli di un eroe senza macchia e senza paura, sempre pronto a lanciarsi contro il pericolo.

Volevo un mondo in cui "bene" e "giusto" non sempre coincidessero, costringendo le persone a scegliere, come spesso succede nella vita, fra un bene controproducente e un male necessario.

Chi conosce il fantasy meglio di quanto non facessi io all'epoca avrà già trovato delle similitudini con il “Low Fantasy”, il sottogenere in cui la distinzione fra bene e male spesso non c’è e i protagonisti sono spesso degli antieroi.
Quando ho cominciato a scrivere "I Tre Regni Degli Uomini" non avevo in mente un genere predefinito in cui calarlo, aspetto che lo rende ibrido per molti versi, mi sono limitato a muovermi "a braccio" verso quello che mi sarebbe piaciuto leggere. 
Ora che però ho una conoscenza più approfondita del Fantasy posso rispondere con meno patemi alla fatidica domanda che arriva puntualmente:
"Di che genere è?"
Al che la mia pronta risposta è:
"Low Fantasy... Forse... più o meno..."

In ogni modo, con il Low Fantasy è stato amore a prima vista, ma di questo ve ne parlerò in un altro articolo.

Alla prossima!

PS
Ricordatevi che c'è il mio libro "simil-quasi-Low Fantsy" da preordinare su Bookabook! :)

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Spunti e letture consigliate:
Wikipedia, "High Fantasy"
Tolkien, "Low Fantasy"

mercoledì 1 marzo 2017

RIFLESSIONI: La tanto bistrattata cotta di maglia


Quanti guerrieri avete visto indossare una cotta di maglia nei film, nei videogiochi, nei dipinti, nei libri?
Immagino tanti. Tantissimi.

E quanti di questi avete visto morire, squarciati da una spada o trafitti da una lancia?
Di nuovo, la risposta credo sia per tutti tanti. Molti.
Troppi.

Dico troppi perché la cotta di maglia è vittima di una campagna denigratoria che dura da decenni, in cui l’iconografia di Hollywood ci ha abituati a vedere maglie lacerate, trapassate o spaccate come fossero carta velina.
Niente di più sbagliato!

Del resto, se le cotte di maglia fossero state davvero così inutili sarebbe difficile spiegarsi perché siano state l’armatura più usata per quasi 2000 anni, dall'Europa al Giappone, passando per India e Medio Oriente (le evidenze storiche del loro uso iniziano intorno al 4 secolo avanti Cristo e durano fino alla completa diffusione delle armi da fuoco, fra il 16 e 17 secolo dopo Cristo). 
Chi avrebbe accettato di portarsi addosso tutti quei chili di metallo (fra i 4 e i 12, in media) senza averne alcun vantaggio?
Difficile pensare che milioni di soldati di 3 continenti abbiano potuto essere così stupidi per così a lungo.
E infatti non lo erano. 
Le cotte di maglia funzionavano, e funzionavano bene.

Fonti sia storiche sia moderne, sfatano il mito che le vuole tagliate o bucate con facilità da spade o frecce. 
A dirla tutta, specie in epoca alto medievale, erano praticamente indistruttibili, come testimoniato dagli scheletri dei combattenti dell’epoca, che presentano ferite sulle sole parti scoperte (come il viso o le gambe) o fratture da impatto causate da armi contundenti come le mazze, contro cui la maglia poteva poco.

Ma allora da dove nasce la credenza della vulnerabilità della cotta di maglia?
I film e la loro necessità di spettacolarizzazione hanno sicuramente dato un grande contributo ma, l’errore principale è molto più sottile e affonda le radici nella metallurgia e nei primi test moderni che sono stati fatti su questo tipo di armatura.

Vi basta fare un giro su su youtube per trovare decine di pseudo-esperti che spaccano cotte di maglia come fossero di carta. Picche, frecce, persino spade usate di taglio. Tutto sembra passare una maglia con relativa facilità.
Barano? 

Si e no.
Ci sono molte ragioni dietro i fallimenti di questi test, dall'uso di fantocci piantati a terra all'assenza delle imbottiture che tipicamente erano usate sotto alle cotte.
L'unico punto che quasi tutte queste cotte di maglia ‘fragili’ hanno in comune è che sono tutte repliche moderne, costruite per sembrare come quelle antiche ma con un piccolo grande dettaglio di differenza.
Per risparmiare tempo, ora che non vengono più usate in guerra, le cotte di maglia "replica" sono fatte di anelli di fil di ferro semplicemente piegato mentre, la stragrande maggioranza delle cotte usate storicamente, erano rivettate o saldate.
Sulla sinistra: una anelli solo piegati; sulla destra: anelli rivettati
Questo singolo dettaglio cambia tutto: mentre un anello piegato può facilmente essere aperto con le dita (figuratevi da una freccia!), un anello rivettato è praticamente indistruttibile. Unite questo all'imbottitura che si portava sotto la cotta e avrete una protezione praticamente perfetta, vulnerabile solo a frecce ben piazzate o alle ben più potenti balestre.
Se avete domande o curiosità da condividere sulle cotte di maglia, non esitate a commentare qui sotto, nel frattempo, vi lascio qualche contenuto interessante sull'argomento.

Alla prossima!

PS
Ricordatevi che c'è il mio libro pieno di accuratezze storiche pronto da preordinare su Bookabook! :)

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Alla prossima!

L'immagine di copertina rappresenta un estratto dell'interessantissimo "Arazzo di Bayeux"